Nuove elementi dall’inchiesta: un monsignore dice che del negoziato sui 15 milioni ne era a conoscenza anche il Sostituto, Edgar Pena Parra, il numero 3 della Curia
di Carlo Marroni

Nuove elementi dall’inchiesta: un monsignore dice che del negoziato sui 15 milioni ne era a conoscenza anche il Sostituto, Edgar Pena Parra, il numero 3 della Curia
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È all’Hotel Bulgari di Milano che spunta per la prima volta l’idea dell’estorsione di Gianluigi Torzi verso la Santa Sede. In un incontro svolto a fine 2018 in uno degli alberghi più lussuosi d’Italia avviene l’incontro che rappresenta una svolta nell’incredibile vicenda dell’immobile di Sloane Avenue, Londra, comprato nel 2014 che ha generato via via “un’enorme voragine” nei conti dello Stato vaticano.
Dall’inchiesta che ha portato il finanziere in cella dentro le mura leonine la sera del 5 giugno emergono nuovi dettagli, in base anche alle testimonianze delle molte persone ascoltate, tra cui monsignori, avvocati e intermediari vari. Tra cui anche che tutte le fasi del negoziato – che secondo gli inquirenti avrebbe assunto la fattispecie di estorsione – siano state seguite direttamente dal vescovo Edgar Pena Parra, il Sostituto della Segreteria di Stato, in “numero 3” della Curia.
La spinta decisiva all’inchiesta è arrivata dalle carte inviate dalla Svizzera, dove le autorità hanno sequestrato dei conti correnti per svariati milioni di vari protagonisti – sono usciti i nomi del monsignor Alberto Perlasca e del funzionario vaticano Fabrizi Tirabassi – per alcuni milioni, senza che per adesso sia specificato l’ammontare di ciascun conto.
L’incontro all’Hotel Bulgari
Alla riunione all’Hotel Bulgari di Milano si presentano Tirabassi, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, ed Enrico Crasso, ex Credit Suisse e gestore delle finanze della Segreteria: entrambi – secondo la testimonianza di Manuele Intendente, avvocato che aveva introdotto Torzi in Vaticano – dicono al finanziere che ha in quel momento di voler proporre la cessione al Fondo Centurion (veicolo maltese che fa capo a Crasso, che poi otterrà effettivamente la gestione di altri fondi della Segreteria) delle quote di Gutt Sa, la società che gestiva l’immobile di Londra, di cui il broker aveva ceduto al Vaticano 30mila azioni senza diritto di voto, mantenendone 1000 con diritto di voto, violando gli accordi. È lì che matura l’idea dell’estorsione – secondo Intendente – ma per gli investigatori vaticani le ragioni sarebbero legate all’impegno preso da Torzi di sottoscrivere un bond di 30 milioni di euro della Banca Popolare di Bari. Insomma, secondo i magistrati papali l’indisponibilità vaticana a non entrare nella Popolare di Bari farebbe scattare la reazione di Torzi e gli fa alzare le pretese.
La Segreteria di Stato “in balia” di Torzi. Il presunto ruolo di Pena Parra
Un altro aspetto che emerge dalle testimonianze è che la Segreteria di Stato vaticana, la massima autorità governativa della Santa Sede, era in “balia delle richieste di Torzi”. La sconcertante realtà è descritta dagli inquirenti e gli investigatori dello Stato vaticano, che hanno indagato sulla vicenda. Dalle testimonianze acquisite emerge uno spaccato di contatti frenetici in cui via via si alternano prelati, funzionari pontifici, avvocati e intermediari, incontri e pure secondo quanto ricostruito dall’ufficio del Promotore di Giustizia, un’udienza dal Papa a Santa Marta il 26 dicembre 2018 – circostanza non esplicitata dagli atti ufficiali ma su cui ci sono varie testimonianze – in cui lo stesso Torzi avrebbe avanzato le sue pretese. Spunta poi quanto affermato da monsignor Mauro Carlino, l’ultimo, in ordine di tempo, tra gli “emissari della Segreteria di Stato” incaricati di portare a termine la difficile trattativa con Torzi perché ceda le famose 1000 azioni, cosa che farà a fronte dei 15 milioni, scesi dopo una prima ipotesi a 20 milioni. Secondo Carlino comunque Pena Parra dette “indicazioni sulla modalità di procedura”.
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